LA COMMISSIONE TRIBURARIA DI PRIMO GRADO Ha emesso la seguente ordinanza sul ricorso prodotto da Marforio Alberto, residente in Stresa, via Scotti, 2, avverso il Centro di servizio delle imposte dirette di Milano - Ufficio imposte dirette di Arona. Marforio Alberto, residente a Stresa, via Scotti, 2, proponeva tempestivo ricorso contro l'iscrizione a ruolo, disposta dal Centro di servizio delle imposte dirette di Milano, di complessive L. 1.004.000, di cui L. 500.000 per Irpef 1976, L. 200.000 per sopratassa e L. 304.000 per interessi, in dipendenza della dichiarazione integrativa o della domanda di condono di cui al d.-l. 10 luglio 1982, n. 429, convertito nella legge 7 agosto 1982, n. 516. Il ricorrente, dopo aver premesso che per il 1976 non ha presentato la dichiarazione dei redditi perche', a suo dire, non aveva l'obbligo di presentrla, chiedeva l'annullamento dell'impugnata iscrizione a ruolo per violazione dell'art. 19, primo, secondo e quinto comma, del d.-l. n. 429/1982, convertito nella legge n. 516/1982. Il Centro di servizio delle imposte dirette di Milano resisteva al ricorso con deduzioni scritte con le quali, dopo aver affermato che per il 1976 non risulta prodotta a nome del ricorrente alcuna dichiarazione dei redditi ne' il certificato di cui alla lett. d) del quarto comma dell'art. 1 del d.P.R. n. 600/1973, evidenziava che la dichiarazione integrativa sarebbe stata prodotta in violazione al disposto del quinto comma dell'art. 19 del d.-l. 10 luglio 1982, n. 429, convertito nella legge 7 agosto 1982, n. 516, che prevedeva il versamento di L. 500.000 per anno. Questo collegio ritiene che per la decisione del presente ricorso debbano applicarsi le disposizioni di cui al d.-l. n. 429/1982, convertito nella legge n. 516/1982, eufemisticamente chiamate "Disposizioni per agevolare la definizione delle pendenze tributarie" ed, in particolare, la disposizione - correttamente interpretata - di cui all'art. 19, quinto comma, della citata normativa, la quale prevede che "Per la definizione automatica dei periodi di imposta per i quali le persone fisiche hanno omesso di presentare la dichiarazione dei redditi, la dichiarazione integrativa deve recare l'impegno a versare L. 500.000 per ciascuno dei periodi stessi". L'espressione "hanno omesso di presentare" di cui al citato art. 19, quinto comma, secondo l'orientamento finora seguito da qualche sezione di questa commissione tributaria, non va riferita, come invece sostiene il ricorrente, soltanto alle persone fisiche che, avendo l'obbligo di presentare la dichiarazione dei redditi, non l'hanno presentata, ma, come ha sostanzialmente eccepito il Centro di servizio delle imposte dirette di Milano, alle persone fisiche che, indipendentemente dalla sussistenza di un qualsiasi obbligo, "non hanno presentato la dichiarazione dei redditi". Ma, a prescindere da un giudizio di merito sulla domanda del ricorrente, sulla quale questo collegio, allo stato degli atti, non emette alcuna decisione, la norma anzidetta (art. 19, quinto comma, del d.-l. n. 429/1982, convertito nella legge n. 516/1982) e le disposizioni sul "condono" (Disposizioni per agevolare la definizione delle pendenze tributarie - artt. 14 e 34 del d.-l. n. 429/1982, convertito nella legge n. 516/1982), sono, a parere di questo collegio, quanto meno, di dubbia legittimita' costituzionale. Pertanto, la decisione del presente ricorso deve essere preceduta da una pronuncia della Corte costituzionale. I condoni fiscali sono un premio per gli evasori e una beffa per i contribuenti onesti e, quel che e' peggio, un "invito" per ulteriori evasioni con conseguente danno per lo Stato e per la credibilita' delle sue istituzioni. Sono provvedimeti che creano un'ingiustificata disparita' di trattamento tra i cittadini e arrecano danni agli onesti e a coloro che non possono evadere le imposte, perche', ovviamente, il carico tributario che gli evasori non sopportano ridade, in tempi brevi, sugli altri soggetti; mentre tutti (tutti|) dovrebbero concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacita' contributiva. Inoltre, sono disposizioni con le quali lo Stato (e per esso gli uffici tributari) rinunziano, almeno di fatto, a perseguire o, quanto meno, riconoscono di non aver saputo o potuto perseguire "i buon andamento e l'imparzialita' della pubblica amministrazione" e appaiono deboli con i forti e forti con i deboli. Gli anzidetti condoni, a differenza dei provvedimenti di clemenza in materia penale (amnistia, insulto e grazia), non hanno alcun fondamento nella Costituzione, della quale, a parere di questo collegio, violano la lettera e lo spirito e, in particolare, l'art. 3, primo comma, (principio di uguaglianza e di razionalita'), l'art. 53, primo comma, (principio di capacita' contributiva) e l'art. 97, primo comma, (principio del buon andamento e dell'imparzialita' della pubblica amministrazione). Contro i condoni molto, e molto autorevolemente, e' stato detto e scritto e, pertanto, questo collegio, anche in base al disposto dell'art. 24 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), il quale prevede che l'ordinanza con la quale viene respinta e non anche l'ordinazna con la quale viene sollevata un'eccezione di illegittimita' costituzionale "deve essere adeguatamente motivata", si astiene da ulteriori argomentazioni, ritenendo peraltro sufficienti quelle gia' esposte, e auspica che il giudice delle leggi voglia pronunciarsi sui "condoni tributari" per "impedire o sconsigliare" ulteriori, non improbabili, provvedimenti di clemenza fiscale o per "benedirli". La presente questione di legittimita' costituzionale, oltre ad essere "non manifestamente infondata", e' anche "rilevante" perche' dalla sua soluzione dipende la decisione del ricorso e piu' specificamente perche' dalla dichiarazione di illegittimita' della normativa sopra citata deriverebbe l'accoglimento del ricorso e l'annullamento dell'atto impugnato.